Vettori energetici

Si parla di “vettore energetico” per quei composti in grado di veicolare l’energia da una forma ad un’altra, da non confondere con le fonti energetiche. Tale composto, infatti, deve essere prodotto e raccolto a partire da una forma di energia precedente; al contrario, una fonte di energia primaria si trova in natura e il suo utilizzo non necessita obbligatoriamente della trasformazione in un’altra forma di energia. Un vettore energetico è in grado di trasferire l’energia nel tempo, rilasciandola al momento opportuno.

Idrogeno

Vettore energetico di tipo chimico, l’idrogeno può contribuire in modo rilevante alla decarbonizzazione in settori dove altre tecnologie e soluzioni non sono facilmente praticabili (come il trasporto pesante) rappresentando un possibile facilitatore della transizione verso fonti sostenibili.

Pur essendo l’elemento più semplice e più abbondante sul nostro pianeta, è raramente disponibile allo stato libero e molecolare (H2), perché spesso presente in combinazione con altri elementi chimici. Per le sue caratteristiche innate, dunque, l’idrogeno costituisce un importante complemento alle rinnovabili, in particolare laddove il ricorso all’elettrificazione non sia tecnicamente o economicamente percorribile.

Presenta inoltre una grande flessibilità di impiego, oltre a non generare emissioni negli usi finali e a poter essere prodotto attraverso processi totalmente decarbonizzati (idrogeno rinnovabile) o con emissioni molto limitate (idrogeno sostenibile o low-carbon). Può garantire quindi flessibilità e resilienza al sistema energetico, assorbendo in modo efficiente l’over produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e sostenendo così, grazie alla possibilità di essere stoccato o di funzionare come buffering, la crescente diffusione delle rinnovabili non programmabili.

Impieghi del vettore

Attualmente gran parte dell’idrogeno utilizzato in Europa e nel mondo è grigio, ottenuto cioè da fonti fossili attraverso il processo dello steam methane reforming (rottura della molecola di metano con vapore ad alta pressione, con emissioni nel range delle 8-11 tCO2eq per tonnellata di H2 prodotta). A differenza di questo, l’idrogeno blu nel processo di steam reforming cattura la CO2 che può essere poi immagazzinata in cavità naturali nel sottosuolo (Carbon Capture and Storage – CCS). L’idrogeno verde è invece prodotto da elettrolisi (rottura della molecola d’acqua H2O usando energia elettrica) e presenta emissioni di gas serra nel ciclo di vita inferiori a 3 tCO2eq per tonnellata di H2 prodotta.

Nel Decreto n.463 del 21 ottobre 2022, il MASE ha fornito una prima definizione di idrogeno rinnovabile, l’idrogeno verde ottenuto tramite elettricità proveniente da impianti rinnovabili direttamente connessi all’elettrolizzatore o da energia prelevata dalla rete munita di Garanzia d’Origine (GO) rinnovabile. Successivamente, gli Atti Delegati sull’idrogeno (adottati a giugno 2023) hanno stabilito che l’idrogeno rinnovabile di origine non biologica prodotto da elettrolisi deve soddisfare i 3 criteri di Addizionalità, Correlazione geografica, Correlazione temporale della produzione da fonti energetiche rinnovabili (FER) che alimenta l’elettrolizzatore.

Esistono altre tipologie/modalità di classificazione dell’idrogeno che si differenziano a seconda della tecnologia utilizzata:

Scenario e prospettive

L’impiego di idrogeno rinnovabile e low-carbon può consentire la decarbonizzazione di molti settori di consumo c.d. hard-to-abate, ma a differenza di altre soluzioni necessita di investimenti lungo tutte le fasi della filiera: produzione, infrastruttura e domanda. In tal senso, gli ambiti di domanda che già oggi utilizzano l’idrogeno grigio dovrebbero essere considerati prioritari nello switch all’idrogeno rinnovabile/low carbon, in quanto i costi di trasformazione sono ottimizzati – poiché correlati alla sola fase di produzione – e l’investimento rappresenta un rischio minore per il sistema – poiché non dipendente della creazione di una nuova domanda per il vettore.

I settori c.d. hard-to-abate in cui favorire la decarbonizzazione attraverso l’impiego di idrogeno sono prioritariamente aviazione a lungo raggio, trasporto marittimo a lungo raggio, e alcuni processi specifici dei settori industriali, quali chimica e acciaio, che utilizzano l’idrogeno come materia prima (ad esempio, l’idrogeno – verde o blu – può sostituire l’idrogeno grigio nelle raffinerie e nella produzione di fertilizzanti) e ceramica, vetro, cemento (come sostituto dei combustibili fossili nei processi che richiedono calore ad alte temperature).

Le infrastrutture di trasporto gas sono già pronte per accogliere quote crescenti di idrogeno (blending) (e lo saranno anche le reti di distribuzione al progredire della normativa che regola anche gli utilizzi finali) e che, a livello europeo, è in programma la realizzazione di una rete di trasporto (e stoccaggio) dedicata, che tenga conto degli indirizzi proposti dalla Commissione EU nel RepowerEU per un utilizzo di 20 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030, di cui la metà di importazione extra EU.

A livello nazionale, lo sviluppo del vettore idrogeno dovrà avvenire in maniera sinergica ed integrata con il mercato e l’infrastruttura elettrica nazionale, prevedendo sia impianti di produzione direttamente collegati ai centri di consumo, sia valorizzando le aree con maggior potenziale produttivo rinnovabile e prevedendo il trasporto e la distribuzione via gasdotto, fino alle aree di maggior consumo. In questo modo, il trasporto su lunga distanza dell’idrogeno sarebbe garantito dalla diffusione della rete gas esistente attraverso la riconversione delle infrastrutture con accesso allo stoccaggio, così da garantire un efficiente bilanciamento tra domanda e offerta di idrogeno ed energia elettrica.

Si rivela quindi necessario che siano definite condizioni abilitanti per lo sviluppo di grandi impianti a fonti rinnovabili dedicati. In alcuni settori, inoltre, lo sviluppo dell’idrogeno può avvenire anche attraverso altre molecole quali metanolo o ammoniaca.

Di conseguenza, l’Italia deve opportunamente dotarsi al più presto di una strategia di sviluppo dell’idrogeno che ne sfrutti al meglio le specifiche caratteristiche (geografiche, di mercato), in modo da ridurre il potenziale gap di competitività con gli altri paesi europei e assicurarsi un ruolo strategico nella gestione dei flussi di idrogeno rinnovabile e decarbonizzato.

In questa direzione, a luglio 2023 è stata inviata alla Commissione europea la bozza di aggiornamento del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC), che prevede, puntando in particolare su industria hard-to-abate e trasporti:

3 GW

Installazione di elettronizzatori entro il 2030

250.000 tonnellate

Consumo di idrogeno rinnovabile l’anno
(di cui l’80% sul territorio nazionale)

Ulteriori dettagli sono in fase di definizione attraverso l’elaborazione della Strategia Nazionale per l’Idrogeno, che, come previsto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, contribuirà a stimolare la crescita interna del mercato dell’idrogeno attraverso l’utilizzo di una infrastruttura appropriata, ben sviluppata e interconnessa, offrendo anche opportunità di import e export.

Tuttavia, non ci sono dettagli su come questo nuovo target verrà effettivamente raggiunto, ma tali considerazioni sono state recepite, parzialmente, dalla strategia italiana per l’idrogeno che mira a ridurre di circa il 30% le emissioni nazionali di gas serra entro il 2030, costruendo un’economia del vettore, dove l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista nella partita globale dell’idrogeno.

Stima degli obiettivi di consumo di idrogeno al 2030 indicati nel PNIEC

Ktep

Totale: 720

Mton

Totale: 0,251

Elettrificazione e vettore elettrico

L’elettrificazione consiste nel processo di sostituzione delle fonti di energia fossili – come carbone, petrolio e gas naturale – con l’elettricità generata da fonti di energia rinnovabili, come il solare, l’eolico, l’idroelettrico e il geotermico, per soddisfare i consumi finali di energia, ad esempio edifici, industria e trasporti.

L’elettrificazione dei consumi crea una serie di benefici, tra cui:

Impieghi del vettore

Per raggiungere il target del Piano elettrico 2030, il settore elettrico e la sua filiera sono pronti a investire 320 miliardi in Italia, creando oltre mezzo milione di nuovi posti di lavoro (Fonte: Elettricità Futura). 

La domanda di energia elettrica in Italia dovrà crescere da circa 305 TWh nel 2023 a 360 TWh nel 2030, al netto della crescente efficienza nei consumi. Oggi in Italia le energie rinnovabili rappresentano circa il 45% del mix elettrico. Secondo l’Osservatorio FER realizzato da ANIE Rinnovabili, al 30 settembre 2023 in Italia sono connessi ed in esercizio complessivamente 63,838 GW di potenza nel settore elettrico da fonti rinnovabili, così suddivisa: 4,125 GW di bioenergie, 12,133 GW di eolico, 27,816 GW di solare/fotovoltaico, 817 MW di geotermoelettrico e 18,947 GW di idroelettrico, coprendo il 37% del fabbisogno elettrico nazionale.

In coerenza con il pacchetto REPowerEU della Commissione europea, il Piano elettrico 2030 elaborato da Elettricità Futura prevede di arrivare all’84% di rinnovabili nel mix elettrico nazionale. Per raggiungere tale obiettivo è necessario installare 12 GW all’anno di nuova potenza rinnovabile triplicando quindi l’attuale parco rinnovabili italiano. Per abbassare i costi dell’elettricità, il Piano elettrico 2030 prevede che il 70% della nuova potenza da installare provenga da impianti rinnovabili di grande taglia. Infatti, l’energia elettrica prodotta con gli impianti fotovoltaici utility scale costa meno della metà dell’elettricità generata dagli impianti fotovoltaici sui tetti. Nel 2023 sono stati installati circa 6 GW di nuove rinnovabili in Italia ma l’85% dei nuovi impianti ha una potenza inferiore a 1 MW. Occorre quindi accelerare le installazioni dei grandi impianti rinnovabili a terra.

Energia da fonti rinnovabili (espressi in GW)

Energia da fonti rinnovabili (espressa in %)

Bioenergie

Eolico

Fotovoltaico

Geotermoelettrico

Idroelettrico

Scenario e prospettive

Per raggiungere tali target 2030, sarà dunque fondamentale affrontare e risolvere alcune sfide chiave quali:

Lo scenario PNIEC prevede un incremento dell’elettrificazione dei settori di uso finale, dando così modo anche al contributo delle fonti rinnovabili (specialmente fotovoltaico ed eolico) di crescere nella generazione di energia, dal 40% registrato nel 2021, al 72% nel 2030 fino all’80% nel 2040.Per le bioenergie inoltre si ritiene probabile una diminuzione della potenza totale, coerente con un quadro di generale conversione a biometano degli impianti a biogas, e di graduale fuoriuscita dei bioliquidi al termine del periodo di incentivazione.

Biocombustibili

Un biocombustibile si ottiene attraverso il processo di fissazione biologica del carbonio. Si tratta dunque di combustibili solidi, liquidi o gassosi, ma prodotti a partire dalle biomasse, ovvero da materia organica, o tramite reazioni chimiche, dove all’inizio del processo – che deve avvenire in tempi stringenti –  vi è presenza di anidride carbonica.

Derivano dunque da fonti rinnovabili, che possono essere prodotte anno dopo anno tramite politiche ecosostenibili.

Le principali filiere tecnologiche, in riferimento al settore dei trasporti, includono: biocombustibili liquidi attraverso processi di fermentazione (es. il bioetanolo, oli microbici), conversione pirolitica (es. bio-oli e bio-crude destinati a trattamenti di raffinazione), o processi termochimici di gassificazione (es. metanolo, etanolo); ‐ biocombustibili gassosi da processi biologici (es. biometano, bio-GNL e bio-GPL) e processi termochimici (es. il dimetil etere-DME, bio-SNG). Alcuni di questi biocarburanti possono già essere utilizzati direttamente nei motori esistenti e sono pertanto denominati drop-in.

Il grado di maturità delle varie filiere è però differente e la ricerca è essenzialmente finalizzata all’analisi della loro sostenibilità e neutralità, all’ottimizzazione dei processi, alla riduzione dei costi e non ultimo all’allargamento delle matrici utilizzabili.

Gli e-fuel (carburanti rinnovabili liquidi e gassosi di origine non biologica – RFNBO – indicati nella RED II) sono ottenuti combinando chimicamente idrogeno “rinnovabile” e anidride carbonica. Fanno parte degli e-fuel il metano, prodotti di sintesi come diesel e cheroseni e altri carburanti/prodotti chimici come metanolo e ammoniaca. Il green hydrogen può anche essere accoppiato a processi di gassificazione per il trattamento del gas di sintesi e l’ottenimento di biocarburanti.

Inoltre, la RED II contiene anche un’altra categoria di combustibili, “i combustibili a base di carbonio riciclato”, ovvero combustibili liquidi e gassosi prodotti da rifiuti liquidi o solidi di origine non rinnovabile (come la frazione non-organica dei rifiuti urbani, plastiche non riciclabili).

Impieghi del vettore

La produzione di biocombustibili può portare molteplici benefici ambientali e di riduzione di CO2 consentendo altresì di risparmiare sui costi dei combustibili fossili, il cui prezzo sta aumentando senza sosta da un paio di decenni. Un ulteriore vantaggio per gli enti locali può essere individuato nella possibilità di sfruttare i rifiuti per produrre energia utile ai cittadini e, allo stesso tempo, di diminuire i volumi di rifiuti accumulati nelle discariche. Non è da escludere che con il progresso tecnologico si riesca a contrastare quel fatidico 30% in più rendendo il biocombustibile una risorsa rinnovabile e “green” allo stesso tempo.

Ad oggi, il settore dei trasporti impiega principalmente combustibili fossili e genera quasi il 25% delle emissioni totali di gas serra. La diffusione dei biocarburanti, che possono contribuire positivamente  – in un approccio basato sul ciclo di vita, a ridurre le emissioni del settore della mobilità, è una soluzione complementare all’elettrificazione, in particolare per quei settori cosiddetti hard to abate in  cui l’elettrificazione non è in grado di esprimere a pieno il suo potenziale a causa di vincoli tecnologici ed economici (ad esempio il peso della batteria e la densità di potenza):  trasporti pesanti stradali, marittimi e aviazione.

Queste soluzioni nella maggior parte dei casi non richiedono infrastrutture aggiuntive, in quanto si basano sulla catena di distribuzione esistente per i combustibili fossili, e (almeno per le tecnologie più avanzate, come ad esempio l’Olio Vegetale Idrogenato o HVO) possono essere fornite in forma pura, rappresentando così un efficace e completo sostituto dei combustibili fossili tradizionali.

La Direttiva sulle Energie Rinnovabili (o RED2, di cui un aggiornamento è previsto all’interno del pacchetto Fit for 55) sostiene i biocarburanti come strumento di decarbonizzazione, e fornisce un quadro legislativo e regolamentare dettagliato per lo sviluppo dei biocarburanti, al fine di garantirne la sostenibilità e, allo stesso tempo, di consentire risparmi nelle emissioni di gas serra che possono raggiungere il 90% per le materie prime e le tecnologie più virtuose.

La ricerca e lo sviluppo continuano a migliorare la produzione di biocarburanti, riducendo i costi e aumentando l’efficienza. Sono in corso sforzi per sviluppare biocarburanti di seconda e terza generazione, che sfruttano biomasse di scarto, materie prime non alimentari e rifiuti organici che non solo non competono con le filiere alimentari, ma anche non implicano consumo di acqua, suolo e fertilizzanti.

Inoltre, la maggior crescita di rinnovabili nel settore trasporti riguarda i biocarburanti consumati in miscela con i carburanti tradizionali, in particolare con il gasolio, prodotti in Italia in due importanti raffinerie trasformate in impianti dedicati all’economia verde e circolare: Marghera presso Venezia e Gela in Sicilia.

Le quantità di biocarburanti impiegati nei trasporti in Italia sono pari a 1,5   tonnellate (volume prodotto che permette di accrescere la sicurezza del sistema energetico, in quanto riduce la dipendenza dall’estero anche dei biocarburanti. In prospettiva, il passaggio obbligato all’impiego solo di carburanti di seconda generazione, renderà necessario l’investimento in tecnologie avanzate che, grazie alle raffinerie nazionali, vengono sviluppate esclusivamente in Italia, potenziando l’avanguardia nella ricerca in questo campo, chiave fondamentale per il Paese nel processo di transizione.

Questa soluzione di decarbonizzazione, tuttavia, rischia di essere fortemente indebolita dall’approccio che l’Europa ha scelto rispetto alla definizione degli standard di CO2 per i veicoli a motore (Regolamento sugli standard di prestazione in materia di emissioni di CO₂ per autovetture e furgoni, e per veicoli pesanti).

In questo contesto, infatti, le emissioni non vengono conteggiate secondo l’approccio Life Cycle della RED, ma misurando solo le emissioni di scarico (approccio Tank to Wheel); di conseguenza, il concetto di “veicolo a basse emissioni” non può che coincidere con il veicolo elettrico, non permettendo quindi alle case automobilistiche di studiare e sviluppare soluzioni in grado di sfruttare a pieno le potenzialità dei biocarburanti. Inoltre, le più recenti proposte di evoluzione della normativa impongono il divieto di utilizzo dei motori a combustione interna nei nuovi veicoli a partire dal 2035.

Scenario e prospettive

È ad ogni modo da sottolineare, che l’approccio normativo di separare l’ambito di applicazione dei RED2 (biocarburanti) da quello degli standard di CO2 per i veicoli a motore (la definizione di veicoli a basse emissioni) può essere superato da opportune scelte di disegno del mercato, che ristabiliscano le sinergie tra le diverse soluzioni di decarbonizzazione nel settore dei trasporti. La recente proposta per l’introduzione di un meccanismo di crediti volontari, aggiuntivo a quelli del RED2, consentirebbe anche di identificare i veicoli dotati di motore a combustione interna come auto a basse emissioni, valorizzando il contributo ambientale dei biocarburanti. Il contributo di questi, infatti, aumenterebbe lo sviluppo dei processi di decarbonizzazione del settore dei trasporti, raggiungendo l’obiettivo in tempi e costi previsti, grazie alla possibilità di costruire un sistema resiliente e basato sull’utilizzo di tecnologie complementari.

Affidarsi oltre all’elettrificazione anche a soluzioni che coinvolgano biocombustibili, avrebbe anche effetti relativi all’impatto sui costi industriali e sociali, con maggiori opportunità di riconversione di società connesse alle filiere di raffinazioni, oltre a un carico di domanda meno gravoso per le fonti dal punto di vista ambientale nel soddisfacimento del fabbisogno energetico.

In particolare, il settore della raffinazione potrebbe sfruttare il potenziale ambientale dei biocarburanti per consentire la riconversione dei siti esistenti, sfruttando le caratteristiche delle tecnologie più avanzate per la produzione di biocarburanti drop-in, perfettamente sostitutivi dei carburanti tradizionali nei veicoli a combustione interna omologati per il loro utilizzo. Un ulteriore vantaggio per gli enti locali può essere individuato nella possibilità di sfruttare i rifiuti per produrre energia utile ai cittadini e, allo stesso tempo, di diminuire i volumi di rifiuti accumulati nelle discariche.

Tuttavia, l’impatto ambientale esatto dei biocarburanti può variare in base ai processi di produzione e alle materie prime utilizzate. È essenziale, dunque, il ruolo di attori rappresentativi del settore energetico in azioni strutturali e di advocay per garantire che la produzione di biocarburanti non porti alla deforestazione, all’uso eccessivo dell’acqua o a impatti negativi sulla produzione alimentare. I criteri di sostenibilità vengono spesso stabiliti per regolamentare la produzione di biocarburanti.

PNIEC trasmesso dal MASE nel giugno 2023

Consumo Biocarburanti nel settore trasporti al 2030 (Ktep)2020202120252030
Biocarburanti liquidi1.2641.4152.8122.828
di cui single counting402213984951
di cui double counting8621.2021.8281.877
– di cui su strada/ferro8621.2021.7551.677
– di cui in navi o aerei0073200
Biometano821376691.242
di cui single counting0000
di cui double counting821366691.242
– di cui su strada/ferro821366341.186
– di cui in navi o aerei003556

BIOMETANO

Gas ecologico pulito e naturale, che viene perciò assimilato al gas naturale, si ottiene dalla purificazione di metano e anidride carbonica, che formano insieme il biogas. Il processo di raffinazione e purificazione (upgrading) rimuove la CO2: prima nella fase di purificazione sono eliminate sostanze come vapore acqueo, acido solfidrico e altri composti organici volatici; in seguito, l’anidride carbonica viene separata dalla miscela concentrando il metano. La CO2 rimossa viene poi usata per ulteriori processi di metanazione di idrogeno nella produzione del metano sintetico.

Desolforato e deumidificato, viene sottoposto a depurazione in modo da separare il metano dagli altri gas che compongono il biogas. Quest’ultimo è una miscela di gas composta principalmente da anidride carbonica e metano presenti all’incirca al 50%, vi è poi la presenza di altri componenti ma in piccolissime quantità (vapore acqueo acido solfidrico e composti volatili).

La raffinazione del biogas avviene attraverso vari processi tecnologici che sfruttano sia processi fisici sia chimici e che sono:

A livello normativo è definito come quel “gas ottenuto a partire da fonti rinnovabili avente caratteristiche e condizioni di utilizzo corrispondenti a quelle del gas metano ed idoneo alla immissione nella rete del gas naturale”. 

Il biometano può essere inoltre prodotto da gassificazione termochimica: con questa tecnologia, la biomassa solida (quali scarti forestali o boschivi, ad esempio), in presenza di una quantità “controllata” di ossigeno, viene trasformata dapprima in una miscela di gas definita syngas (CO, H2 e in quantità minori CO2 e CH4) e successivamente, attraverso un processo di metanazione, viene convertita in metano sintetico. Attualmente tale tecnologia non è ancora disponibile su scala commerciale, anche se molto promettente nel medio-lungo periodo soprattutto a livello economico.

Le biomasse di origine animale o vegetale sono le materie prime principalmente impiegate per la produzione di biometano. Tra queste figurano le biomasse agricole quali: colture agricole energetiche dedicate (mais, sorgo, triticale ed altre), reflui zootecnici (letame e liquami), scarti agricoli, scarti agro industriali o agro alimentari (buccette di arance, siero di latte, scarti della pasta). Inoltre, il biometano può essere prodotto partendo dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) oltre che dai fanghi di depurazione derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue urbane.

Il biometano può sfruttarne le infrastrutture e essere utilizzato e trasportato per produrre energia elettrica o per l’autotrazione, in forma gassosa e liquefatta. Ciò lo rende di conseguenza adatto a essere erogato come carburante per il trasporto su strada, marittimo e ferroviario.  Se allo stato gassoso, per la distribuzione può essere impiegata la struttura logistica e distributiva costituita da reti di trasporto e distribuzione del gas naturale (cui i produttori di biometano si allacciano) o in alternativa carri bombolai. Il biometano in forma liquefatta, prodotto attraverso un processo di liquefazione dal biometano gassoso, viene invece trasportato per mezzo di cisterne dedicate.

Impieghi del vettore

Le possibilità di utilizzo e le caratteristiche qualitative e prestazionali, possono contribuire sia alla riduzione di CO2, che al raggiungimento dei target di efficienza energetica derivata da fonti rinnovabili, nonché alla qualità dell’aria. In termini di impatto ambientale i motori alimentati con biometano abbattono a varia misura le emissioni di CO2. Considerando l’approccio (Well-to-Wheel), il biometano (compresso o liquefatto) consente una riduzione complessiva delle emissioni di CO2 che può andare dall’80% fino al 180% (rispetto ai carburanti tradizionali), quando si utilizza rispettivamente gas rinnovabile generato dai rifiuti urbani e da reflui zootecnici. L’uso del biometano permette inoltre anche di ridurre gli inquinanti a livello locale, soprattutto particolato.

In Italia vige attualmente un meccanismo di incentivazione volto a destinare la produzione di biometano avanzato per coprire il 75% dell’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti avanzati per la mobilità stradale (ca 1,1 mld smc/anno).

La produzione di biometano è iniziata solo da pochi anni e sono ancora molte le richieste di realizzazione di impianti in corso di autorizzazione (sia nuovi impianti che impianti biogas preesistenti in riconversione).

Considerando gli impianti di biometano che sono già allacciati alla rete di trasporto e distribuzione e quelli per i quali sono in fase di realizzazione gli allacciamenti, la rete gas può potenzialmente già accogliere oltre 500 milioni smc/anno di biometano. A questi volumi si devono aggiungere quelli derivanti dalla produzione di biometano in forma liquida, trasportato quindi extra rete. Tuttavia, se la totalità degli oltre 1600 impianti di biogas esistenti fosse riconvertita a biometano, si avrebbero già oggi oltre 2,5 miliardi di smc/anno di biometano disponibile: un quantitativo sufficiente per coprire l’attuale domanda di gas nella mobilità su strada e per estendere il suo uso ad altri settori.

Se la domanda potenziale di biometano è già pari ad almeno tutto il consumo attuale di gas naturale compresso in autotrazione e quindi circa un miliardo di metri cubi, sia gli interventi di incentivazioni sul biometano che il potenziamento della rete di distributori di gas naturale consentiranno di andare oltre questi dati.

In Europa, il gas naturale per autotrazione non è sviluppato negli altri Paesi quanto lo è al livello italiano; di conseguenza il biometano è impiegato per usi diversi rispetto alla mobilità. La Germania, per esempio, produce molto biometano che impiega principalmente per la produzione di energia elettrica e calore.

Le previsioni al 2030 sono di almeno 4 miliardi di metri cubi mentre la potenzialità teorica totale ammonta ad 8 miliardi di metri cubi grazie all’introduzione di nuove tecnologie di produzione (come la gassificazione) e di efficientamento, da impiegarsi, oltre che per la mobilità, anche per usi industriali per settori hard to abate, residenziale e generazione termoelettrica. Al 2030 il PNIEC prevede 2.4 milioni di auto a CNG, si stima inoltre che i consumi di gas nei trasporti potranno raggiungere entro il medesimo anno i 5 bcm/anno, di cui 1 biometano.

Scenario e prospettive

Per garantire uno sviluppo del biometano in linea con il potenziale, saranno necessarie alcune linee programmatiche quali:

Infine, nell’ottica di rafforzamento della collaborazione con i produttori di bioetanolo, promuovere il recepimento dei principi dettati dalla RED 2 che non escludano le configurazioni impiantistiche maggiormente diffuse a livello nazionale, favorirebbe anche l’estensione degli incentivi al settore del trasporto navale, con indubbio beneficio di aumentare la domanda obbligata e lo spazio per realizzare impianti.

Favorire meccanismi che possano prevedere lo switch nel medesimo impianto tra produzione di biometano e produzione elettrica in funzione della domanda del mercato, partendo sempre dal biogas da digestione anaerobica, porterebbe anche la commercializzazione del biometano mediante ecolabel apposite o defiscalizzazione dei combustibili, oltre a accogliere un maggior numero di materie prime previste per la produzione di biometano avanzato che permettano l’accesso al Double Counting.

PNIEC trasmesso dal MASE nel giugno 2023:

Consumo Biometano nel settore trasporti al 2030 (Ktep)2020202120252030
Biometano821376691.242
di cui single counting0000
di cui double counting821366691.242
– di cui su strada/ferro821366341.186
– di cui in navi o aerei003556

Obiettivi di crescita al 2030 della quota rinnovabile di biometano nel settore termico in particolare per riscaldamento e raffrescamento pari a 3724 Ktep.

BioGPL

Nel campo dello sviluppo di prodotti a bassa impronta carbonica, la produzione di bioGPL può avvenire secondo diversi processi – che vedono coinvolte tipologie di feedstock e prodotti intermedi differenti – quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione, il reforming e l’idrogenazione (quest’ultimo, ad oggi, utilizzato nelle due bioraffinerie nazionali che producono circa 40.000 tonnellate di bioGPL per anno).

40.000 tonnellate

di bioGPL per anno

Impieghi del vettore

Per quanto riguarda la produzione delle bioraffinerie (oggi in Italia quelle di Eni di Venezia e di Gela), infatti, insieme a biodiesel e bio-nafta, si registra una produzione anche di bioGPL che – seppure in quantità ancora contenute – è già immesso nella rete di distribuzione dei carburanti e valorizzato per gli adempimenti connessi alla direttiva comunitaria sulla qualità dei carburanti. A tendere è previsto un incremento della disponibilità di bioGPL proprio in connessione all’aumento della produzione delle bioraffinerie e di numerosi altri processi che consentono di produrre bioGPL. A tal riguardo, accanto ai sistemi produttivi di bioGPL derivanti dalla produzione di biocarburanti idrogenati (le bioraffinerie di Eni di gela e Venezia e, in prospettiva, quella di Livorno), l’Industria ha, in fase avanzata di ricerca e sviluppo, la realizzazione di una sezione di digestione anaerobica per il trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani per la produzione di biogas e successivo reforming del biogas in bioGPL, dando così vita anche a processi virtuali di economia circolare.

Scenario e prospettive

Obiettivo del settore industriale, è la realizzazione al 2030 di un numero di impianti atto a garantire una produzione nazionale annua di bioGPL pari a circa 700.000 tonnellate; per raggiungere tale obiettivo l’industria prevede la necessità di investire circa 1,5 miliardi €. Un punto di assoluta rilevanza connesso all’utilizzo del bioGPL, è che il prodotto può essere utilizzato – oltre che in miscela con il GPL tradizionale – direttamente in purezza , essendo la stessa molecola del GPL di origine fossile, senza necessità di modifiche (sia tecniche che normative) garantendo così la piena valorizzazione delle infrastrutture di approvvigionamento primario e secondario (circa 380 depositi su tutto il territorio nazionale), delle apparecchiature di utilizzo (bombole e piccoli serbatoi), nonché delle caldaie già installate presso i consumatori finali e dei veicoli circolanti